Chi ha paura dell'uomo nero?


Il siparietto alla convention di Denver mi ha colpito. Michelle ha appena finito di parlare e si posiziona sul palco, insieme alle due figliolette. Lui arriva in collegamento video, saluta dallo schermo. La figlia piccola urla:
"Hallo, daddy!"
"Sentito che discorso la mamma?"
"E' stata brava!", urla la piccola.
Sembrava una scena dei Robinson, più che un consesso politico dove si progetta il futuro. Attenzione, dico "Robinson", con le melensaggini di fine Ottanta, inizi Novanta, non "i Jefferson", che si affacciavano negli eighties pieni delle contraddizioni del decennio precedente. I Robinson sono la black middle class di terza generazione, pacificati, messi al servizio di un sano, antico "way of life". I loro problemi sono principalmente di natura famigliare, più che sociale. Nel vecchio telefilm, "i Jefferson" sono neri arricchiti, guarda caso con le lavanderie a gettoni. Metaforicamente, lavando i panni sporchi dei bianchi. Ma George e Louise litigano di continuo. Lui è misogino e razzista verso i bianchi. C'è nervosismo, la colf di colore, il figlio che si mette con la figlia dei vicini, promiscui. Permangono le contraddizioni e i sensi di colpa della prima borghesia nera che si butta ad assaggiare la sua fetta di torta, tra chiacchiericcio, parrucchiere e capelli cotonati. Dagli anni Settanta, invece, arrivava "Sanford & Son". Padre e figlio che gestiscono un robivecchi, tra incubi da working class, disillusione e ricatti morali. Due ai margini, forti solo del loro legame di sangue e colore.

Ecco, gli spin-doctor di Obama stanno mettendo in scena il sunto di tutto questo, scavando nell'immaginario recente dell'America black, e del modo di raccontarla dei bianchi. Una parabola edificante che parte dalle antiche origini africane, percorre la durezza della working class, per abbracciare la middle. In fase Sanford e Jefferson prima e Robinson poi. Ci sarebbe tanto da dire, e alcune perplessità da sinistra, tipo quelle di
Kevin Alexander Gray fanno riflettere. Ma, mi chiedo, cos'altro potrebbe fare il clan Obama, per uscire dal ghetto mediatico, linguistico, immaginifico e conquistare una nazione come l'America? Altro modo non c'è. La sfida è capire cosa ci sta sotto, quanta sostanza, fatta la tara all'apparenza.

Non so quale elemento prevarrà nell'avventura di Obama. La spinta verso un centro inerte, le invenzioni di facciata, l'esplosione del vuoto politico che ha gonfiato la sua mongolfiera. La sconfitta per opera di un vecchio marpione che conosce l'America profonda e i tempi in cui viviamo, e già vola nei sondaggi.
Oppure la svolta-in-sé. L'affermazione di un cambiamento prima di tutto simbolico, che saprà via via dotarsi di struttura, dando al mondo quell'impronta che tanto ci serve in questo tempo pauroso e bloccato. Una cosa che non sarà innovazione vera, ma ne rappresenterà la copertina. Di un libro magari da scrivere insieme.

Faccio fatica a vedere cosa sarà. Però mi sono abituato a valutare il peso del sasso gettato nello stagno dal tipo di rumore che fa l'acqua putrida. Che oppone  la sua resistenza, tanto più forte quanto più pesante è il sasso.

Obama lo vogliono ammazzare, non solo sconfiggere.
In tanti. Sarà parte della messinscena? Non mi pare. Questo mi basta, per incrociare le dita e tifare per lui. Per i Robinson, per George dei Jefferson e soprattutto per il vecchio Sanford, che quando il figlio voleva lasciarlo fingeva di avere un infarto.

Per tenere insieme quello che rimaneva di salvabile.




Commenti

  1. L'affermazione di un cambiamento prima di tutto simbolico, che saprà via via dotarsi di struttura


    potrebbe essere questo

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  2. Io tifo. Che il cambiamento non sia solo simbolico.

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  3. prima cambiamo, poi ci pensiamo.


    comunque: magari averne uno cosi'.


    questo e' un gigante rispetto ai nani che circolano, come blair allora


    Achab

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  4. Lorenzo ciao,chiedo asilo politico.

    Di là non si vive più,il pensiero è in fuga e i cervelli a pezzi.

    antonio g.

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  5. Ciao, Yzma!


    Rugiada, brotha… Mi sono letto sulla stupenda nuova Unità di Concita De Gregorio tutto l'intervento di Obama. Stupendo e davvero incisivo. Se uno così diventa presidente degli Stati Uniti faccio come Rockerduck… Mi mangio il cappello!


    Antonio g. La fuga dei cervelli è un annoso problema italico. Qui sei sempre il benvenuto, ma il mio posto è piccola cosa. Lottiamo per star bene anche a casa nostra! ;)

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