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Visualizzazione dei post da 2011

Mi sono rotto di brevità (al telefono con Kerpov)

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Uno ha voglia di discorsi lunghi, e squilla il telefono. "Avevi voglia di me, di' la verità", Kerpov dal tono sembrava gioviale. "Purché non metta giù come al solito" io ero più greve. "E' stato un mese difficile, prof, tutto avvoltolato sul tema della morte. Prima una cara amica, poi l'editore, e ieri mio figlio che stava per…" "Precipitare". "Come lo sa?" "Facebook." "Ma lei non è su Facebook" "Ho i miei canali, figliolo. Ormai, tutto è sotto gli occhi di tutti." "E per questo che la morte stride ancora di più, prof". Sì, ero decisamente pesante. "Quella amica, per esempio… Quante mail, chat, quante domande, risposte, chiacchierate…" "Avete scritto cose che noi umani non possiamo neanche immaginare." "Caspita, citazione dotta!" "Frequento un tizio che adora Blade Runner. Cioè, frequento sua madre. Cioé, anche la figlia. Tutti l'ador

Consapevolmente te

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consapevolmente me non cambierò mai. mai. sono la donna con la valigia. sono la donna che coglie gli attimi senza pensare ed agisce d'istinto. amen. non c'è colpa. non c'è dolo. ci sono io. questa sono io. quella che sale di corsa in un taxi perché scopre in ritardo una mail, ma lancia un sms nell'etere e riesce ad organizzare un incontro a jagermaister e caffè sheckerato freddo in un baretto da film degli anni '70 der monnezza. e seduti ad un tavolino si ruba una quasi ora in un pomeriggio caldo a trovare timidezze e similitudine dell'essere scorpioni viscerali e curiosi. a mettere davvero a fuoco quello che fondamentalmente si era già compreso in veloci scambi di mail dilatati in tardi pomeriggi invernali fra il serio ed il faceto. non c'è colpa. non c'è dolo. ci sono io. questa sono io. (l'hai scritto il 13 settembre 2008, alle ore 13:07, dopo il nostro primo incontro. Mi mancherai.)

Furia (al telefono con Kerpov)

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Mi ha chiamato il professor Kerpov, ieri notte. Io avevo la casa sottosopra, il vento muoveva i cellophane. - Quanto tempo, prof!… - Quanto, dimmi. Non avevo risposte. - Non hai risposte, figliolo… - intuì lui. - Comincio a non essere più tanto figliolo. - Prima risposta, vedi? Hegel la chiamava "la furia del dileguare". - Come? - In gamba. E ha chiuso. Non avevo idea di cosa intendesse, ma suonava bene. La furia del dileguare. Mi sono seduto sul pavimento scrostato. Il cellophane, col vento, crepitava di onde. Immagine: Suzanne Vincent, "Harbor"

Arabian Sense of Revolution (Dazed, 1991)

L'intervento migliore

Quel che Succederà