Fotogrammi

 
"La rete non perdona, la rete non dimentica": uno slogan che ho incrociato di continuo, ultimamente. La prima volta sulla bacheca Facebook di uno scritttore, un intellettuale italiano, si presume. L'immagine del momento, ripresa dai media nazionali, è il datato intervento di Piero Fassino in cui invitava infaustamente Grillo a scendere in campo e farsi partito, misurandosi con il consenso. Nei giorni del "Vaffanculo day", credo. Ecco che 'La Rete' va a pescare il fotogramma, lo estrae, lo decontestualizza, lo serve alla dinamica preda-vascadisquali che sta caratterizzando il neoconformismo dilagante. Al "neoconformista dilagato" che legge queste righe è già scattato l'interruttore, TAC, lo scrivente è già incasellato nel file "vecchio ammuffito-difende Fassino-dinosauro". Così impari a definirmi conformista, pensa, non capisci cosa sta succedendo. Già, in lui e in me, è partito l'istinto difensivo, che spinge le sinapsi verso quella frase, quella lista di dati-nomi-esempi o quel link che possa smontare l'altro, che possa fargli male, abbatterlo, ammutolirlo. Che sensazione magnifica 'bannare', poi. Alla fine equivale a uccidere, nella dimensione di vita pubblica e privata che ci stiamo ritagliando.
Ma io non ti sto dando del conformista. Giuro, non voglio, non mi interessa. Come posso spiegartelo, che in fondo non ti giudico? Vorrei conoscerti di persona, bere del vino con te. Passeggiare, capire. Magari anche spiegarti.
Il mio ragionamento è tutt'altro, ma nella logica retaiola non è contemplabile un ragionamento tutt'altro. Può succedere anche che qualcuno recuperi una vecchia immagine di Beppe Grillo che sfascia a martellate un compuer, urlando che chi lo usa è una scimmia ammaestrata. Questo fotogramma ha meno appeal, al momento, ma rientra nella logica: "la rete non perdona, la rete non dimentica!". Parte un input, rimbalza, rotola. Dal passato emerge un sassolino e si fa valanga nel presente. Lo spazio, il tempo. Lo spazio mentale, il tempo fisico. Tutto si espande in un infinito orizzontale, un rumore ondoso, permanente, quasi insostenibile, ma sostenuto.
Ecco il mio TAC, il mio interruttore dove si accende. Lui si nasconde, ma non so perché io lo vedo. Lo riconosco.
C'è un mostro dentro tutto questo, un mostro infelice. Anzi, felice di ingenerare infelicità. Perché l'indignazione eterodiretta è un'immensa macchina di frustrazione e repressione psicologica che si riproduce illudendoti del contrario. Non metto link, non metto frasi celebri come pezze d'appoggio a questa teoria. Li vedete bene gli occhi di chi urla. Non dico chi urla dal palco, quelli di chi risponde dalla piazza, loro mi interessano. Guardateli bene, quegli occhi. In un megacomizio ne ho visto uno con le pupille sgranate. Sono gli occhi di chi ha ragione, e speranza, lo penso davvero. Non scendo nelle analisi sul merito, cause, effetti, colpe. Lui è lì, fa bene. M'interessano i fotogrammi, cosa nascondono.
Siamo in rivoluzione, eppure, me lo sento a pelle, sotto sotto è più pigra e conformista di quanto sembri. La vedo irregimentata, intruppata, con un'azienda che dirige, una tra le tante. Insomma, la solita rivoluzione italiana. Ma non mi basta nemmeno questa analisi radical-chic, da twittata banale, contro la quale mi si può scatenare qualsiasi ragionamento, anche il più fondato, su quanto io sia vecchio, prevenuto e non capisca il fondo, la sostanza, lo snodo generale. E' vero, cazzo, è così. Detesto di essere stato messo in un angolo, di essere stato costretto a difendere il peggio, a farmi conservatore, IO, in un contesto rivoluzionario mi scopro datato. E divento, nel mio piccolo, Solone. Accadde a tanti, anche in grande, anche a Pasolini. La sua frase sui fatti di Valle Giulia, sui poliziotti proletari e gli studenti assalitori borghesi, parte dal problema psicologico che lo tormentava. Non essere capofila, essere invecchiato. Però, qualcosa di vero raccontava quella frase, quel giudizio che io non condivido. Nelle epoche successive si è capito meglio, ripreso più volte, pigramente, a ogni scontro di piazza. Non so come spiagarmi. E non è un refuso. Qui, ormai, spiegarsi è una piaga. Giuro, a cuore aperto, io non sono Piero Fassino. Proprio un altro pianeta. Però se lo vedo a un musical non gli sputo. Lui ti ha rubato la vita, come tutti quegli altri, mi urlate, e riconosco i punti di verità di questo grido. Ed ecco che mi intristisco. Ma davvero pensate che sia questa la via? E' giusto, siamo finiti tutti in un imbuto, con sopra un tappo, è giusto sentire la necessità di uscire, ribellarsi. Di togliere quel tappo alle nostre vite, per sperare: è la cosa più viva, potente che la storia umana ha saputo mostrarci in tanti momenti.
Ma liberiamola fino in fondo questa energia. Non può essere semplicemente iconoclasta. Elencare nomi, sostituirli con altri nomi. Stiamo affidando troppo a troppo poco, questo mi pare.
Non ci può essere emancipazione in un recinto. La rete che non perdona, e che sto ipocritamente usando anch'io, è un coacervo di marchi. Null'altro, strutturalmente. Anche le velleità open-source o di comunitarismo, finiscono tutte, sempre, per essere inglobate. Lo vedete dov'è finito Android, nei vostri cellulari fighi. E Linux, nei computer delle aziende che combatteva concettualmente. Perché accendi una macchina, sempre. E non l'hai fatta tu. Quello che stiamo vivendo, in realtà è il contrario di quello di cui stiamo parlando. Non è la libertà, è il suo opposto travestito. Non è l'espandersi del capitalismo in una prateria bella e felice, è la definitiva contrazione di tutti noi, l'affermazione del deserto infinito. Coi suoi miraggi. Il sogno del capitalismo è quello di trasformare il cittadino in acquirente. Punto. Quale che sia il prodotto, non importa, può anche essere la sua stessa libertà. Il mercato non ha problemi etici, si adatta. Usa nuovi protagonisti nelle varie stagioni, vestendoli alla guisa, di volta in volta. Sta implodendo? Crollano le centrali produttive e l'organizzazione del lavoro? Collassa l'ambiente? Si liquefa la maschera finanziaria? Nessun problema, c'è la rete. La rete che non dimentica, non perdona. Stiamo riversando lì tanta roba, la nostra identità, il tempo. Perfino le nostre emozioni. A disposizione di un'azienda, o di un'altra. Vi rendetete conto?
Ma renditi conto TU, parolaio vuoto ed esibizionista!
Già.
Sì. 
Che cazzate che ho detto. Mi rileggo e mi sento trombone, Solone. E luuuungo, insopportabilmente lungo. Certo, è difficile ammettersi sbagliato, per cui, insomma. Proprio aver buttato via tanti anni di… Non menarla con la superiorità culturale della… Va bene, sto zitto. Dico solo che ora sembriamo le scimmie martellate da Grillo, in quel momento della sua carriera.
Senti, ricciolo, ma l'altro giorno, su Facebook, non ti eri dichiarato sconfitto dal tempo, oltre che dalle elezioni, non ti eri dimesso ammettendo di non avere più strumenti interpretativi? Non hai fatto la vignetta con la bandiera bianca, in bianconero, la mano arresa che spunta da un coacervo di colori e geometrie, da una muraglia magmatica e incomprensibile?
Sì, evvabé, come diceva Whitman, mi contraddico, che importa, sono vasto contengo moltitudini.
Che fai ora, la citazione, ci metti anche il link furbetto a suffragare?
No, tranqui, non suffrago. Solo una postilla.
Ho due figli, è tutto fermo, facciamo bene.
In fretta ma bene, e giusto.
Insultarsi serve a niente.

Sei d'accordo, giovane jedi?

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