ARBOS

Forse è mia madre quella che appare al minuto 7:55, dietro uno striscione. Forse no, non importa. La storia di questa fabbrica è l'inizio della storia della mia vita. Una vicenda incredibile, che dovete assaporare, vivere tutti, che ci parla come nessun'altra, in tempi orribili di legge 30 e poi Job's Act (fatico perfino a pronunciarlo). 1975/1976. L'ARBOS produceva mietitrebbia, il punto di congiunzione tra l'industria e l'agricoltura. Con il grano si fa il pane, e il prodotto era destinato soprattutto ai paesi in via di sviluppo. Ma la proprietà americana da un lato inizia a temere il comunismo italiano, in quegli anni dirompente, dall'altro fa conti sballati e ceffa l'analisi di mercato, con i soliti ottusi manager revisori dei conti tanto in voga oggi. Insomma, gli "yankee" decidono di chiudere. 440 dipendenti, tra cui mia madre, lasciati a casa dal giorno alla notte. No, in quegli anni, in un posto creativo e di frontiera tra Emilia e Lombardia come Piacenza non poteva andare così. Un sincacalista illuminato trascinò la vicenda in un territorio inesplorato, arrivando alla più completa UNITA' sindacale. Furono abbattuti tutti i muri, culturali - ricorrendo alla consulenza di commercialisti e avvocati - e interni - abbattendo la paratia della mensa che divideva operai ed impiegati - e territoriali, la vertenza ARBOS varcò i confini provinciali e diventò nazionale, epocale oserei dire. Lunghissime trattative si svilupparono intorno a un'IDEA RIVOLUZIONARIA: PRENDERSI LA FABBRICA! Così avvenne: i 440 operai divennero i soci di una SPA e rilevarono la proprietà. La fabbrica si trasformò in una esperienza mai vista di AUTOGESTIONE, degna dei più affascinanti utopisti ottocenteschi. La solidarietà cementò tutti: operai, impiegati e città in un corpo unico, per "una fabbrica di sogno, tutta luce e libertà". Tutti in fabbrica, giorno e notte, con le famiglie, le festività, il capodanno del 1975 passato nei capannoni. La stampa nazionale se ne occupò, in prima pagina. Poi, qualcuno, lassù, incominciò a storcere il naso. Come, gli operai che si comprano una fabbrica? Senza spendere una lira? E la cosa funziona pure? Arrivò l'ondata di risposta. Ma là dentro si teneva duro. Guardate questo filmato, ne vale la pena, c'è dentro tutto quel che ci serve, ben più dei vellelitari e autocompiaciuti film del nuovo cinema italiano. C'è la realtà, e alcuni fondamentali eterni. Ci sono dentro le facce che vedevo da piccolo intorno a me, allora giovani, ci ho sentito quegli odori di vernice e saldature, quei colori, quella sirena di inizio turno, quando portavamo in fabbrica la mamma, prima di andare a scuola, su una scassata Audi 80, con dei buchi coperti dagli adesivi. I giganteschi copertoni accatastati. A questa storia ho dedicato due paginette tra le più sentite della mia carriera, in PANICO di Lorenzo Calza, nel capitolo in cui il protagonista incontra una gigantesca mietitrebbia, che è anche sua madre, ma che per me non sono solo autobiografiche. Anzi, non lo sono per niente…

Commenti

Post popolari in questo blog

Vanessa

Has Fidanken!