I ritmi del delirio

Uber. Una app globale che unisce semplicemente domanda e offerta, quotata 70 miliardi di dollari, senza produrre alcunché, senza possedere neanche un veicolo. Presente in 73 paesi, 450 città, solo 12.000 dipendenti, un esercito di un milione e mezzo di autisti, che ci mettono auto, rischio d'impresa e fatica, coinvolti in un alienante sistema di reclutamento all'americana. Dopo un primo periodo di esclusiva e vacche grasse, ora costretti a guidare il doppio per la concorrenza, e la conseguente riduzione del compenso a chilometro. Dall'azienda, niente previdenza, niente copertura assicurativa, solo una misera percentuale. Molti di loro, in USA, per mantenere i ritmi del delirio, non possono tornare a casa e dormono in auto, nei parcheggi dei supermercati. La maggior parte non regge più di un anno. Il sogno dell'inventore di questo mostro moderno, Travis Kalanick, era sostituire il trasporto pubblico, con lo sharing privato. Si sta realizzando. L'economia della condivisione è siffatta: tu condividi la tua roba, con altri e con me, io accumulo tanti capitali quanto uno stato e con te non condivido un bel nulla. Mi impongo alle amministrazioni, col ricatto della tracciatura della rete stradale urbana, regalando un piano traffico a costo zero. Boston c'è cascata.
Tra l'altro, Kalanick aveva promesso che non avrebbe investito un dollaro sulla guida automatica, per mantenere impiegata la forza lavoro umana.
Ecco la scena del delitto, il mandante, il movente.


«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza»
(Antonio Gramsci)

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