Cancel Culture

Boh, devo finirlo, ma del pippone di Zerocalcare sulla cancel culture c'ho capito poco. Il solito groviglio arzigogolato stile comportamentismo social. Alla fine, sul tema, sembra di parlare della "blue whale challenge", un rischio presente e agente nell'era del web, buttato in burletta da una fake news. Ho capito il ginepraio, le mille contraddizioni ecc. Ma se c'è la tendenza ad abbattere le statue, e alla damnatio memoriae, la cancel culture in era social esiste eccome. Ed esiste anche la dittatura del politically correct, altroché.
ZC fa il libero battitore, sotto la coperta del mainstream progressista, pezzo unico, senza problemi di compromissioni contrattuali, tratta proprio un'altra materia. Riccardo Mannelli (un po' anche Vauro), per esempio, che arriva da una vecchia scuola di satiri, liberi per davvero di rappresentare l'anticonformismo, il politically incorrect, anzi, l'ogrish, l'osceno, non gode della stessa bolla di consenso di Calcare. Anzi, ogni sua vignetta controversa su Il Fatto, è marchiata a vista dalla censura benpensante dei social. "Je suis Charlie" un pardepalle: l'hanno mai letto Charlie Hebdo. Per tornare alla materia vera del contendere, esistono mestieri "di scuderia" che stanno vivendo alla grande l'impossibilità moderna di parlare di certi temi, ne vediamo il risultato industriale, di massa. Oggi, per dire, "Freaks" di Tod Browning non si potrebbe vedere, anzi non si potrebbe produrre. Un tempo, i produttori, si concedevano piccole follie, lasciando scaturire gioielli di libertà d'espressione. Lasciamo perdere i fascisteggianti Mondo Movie, razzisti per davvero, Gualtiero Jacopetti e la scena estrema dei settanta italiani, versione cinematografara delle pistolettate nelle strade, ma neanche "Ho camminato con uno Zombie" di Jacques Tourneur, non tenerissimo verso le culture autoctone del voodoo, oggi lo potresti mai vedere.
Non puoi più girare un film a Hollywood mettendo in scena minoranze etniche senza che ci siano nelle maestranze quote paritarie di rappresentanti della minoranza stessa. In sintesi, per inerzia, diventa impossibile raccontare la storia poco edificante di un marginale, o di una persona di colore, dipingerla da stronza. Se lo fai, devi controbilanciare, ampificando le giustificazioni storiche e psicologiche della stronzaggine. OJ Simpson, per intenderci, non sarebbe filmabile, oggidì, in quanto la merdaccia che è stato, ma in quanto marcito moralmente nella sua waspizzazione, era un nero diventato bianco. Andrebbe così, sicuro. Nel dubbio, manco si fa quel film lì, si sceglie altro, percorsi meno controversi. Come ti muovi, hai addosso uno sciame di associazioni, comitati, che ti accusano per come ti sei mosso.
Per qualcuno, questa è una declinazione evoluta della libertà, un upgrade. Io nutro profondi dubbi in merito.
Un conto è mettere in scena la Wakanda di Black Panther, calcando sulla matrice afrofuturista, nel rispetto filologico. Altro conto vedere Nick Fury nero, per controbilanciare la strapresenza wasp nei prodotti Marvel. Ecco, lì sento agire un misto di cancel culture e politically correct insieme. Se penso a chi era Nick Fury, nella saga anni Sessanta… Questo mood è entrato nei contratti, nella trattative editoriali, ormai nella fase realizzativa di ogni progetto americano (e non solo). Un certo cinema controverso non lo trovi più sulle piattaforme. Né al presente, né quello del passato. Sparito da qualsiasi palinsesto, morto. Se non è cancel culture, questa, di che parliamo? Fu profetico il Nanni Moretti che accusava il critico del Manifesto per aver incensato "Henry, pioggia di sangue", film algido, oggettivo e antipsicologico, sapeva che avrebbe vinto lui, il morettismo. "Tenetevi il vostro Alberto Sordi!" Bando ad ogni cinismo, se controverso. Ci basta il cinismo col birignao, di superficie, quello di Zerocalcare, dell'ammiccamento romanesco per bene, forse, che pensa di scavarsi dentro, e dentro le contraddizioni, di fatto un po' negandole.
Intanto, nell'industria culturale, siamo alla liofilizzazione, alla sindacalizzazione della narrativa, dei contenuti, non solo dei soggetti coinvolti. Forse è meglio, forse è peggio, vedremo. Ma non mi dire che non è così.
Per me è peggio, e ribalto la frittata. Non è vero che i conservatori ci fanno cadere nella trappola di una presunta cancel culture per nascondere le vere discriminazioni, è vero il contrario. Persa, in nome della "buona causa", la possibilità di raccontare la verità, anche la più scomoda, poi ne perdi anche la capacità. Nascondi la discriminazione sotto il tappeto, e la rendi più radicata e profonda, nei bar evocati da Zerocalcare, non ho capito bene a che titolo…
Il rapporto tra questa tendenza e quella inversa della politica, dell'opinione pubblica vera, ci parla chiaro. È il conservatorismo - il sovranismo, la destra - ad essere diventato scapigliato, neorealista, popolaresco. Sono loro a gridare "libertà". Lo fanno vellicando lo spirito selvaggio del nucleo ingiusto del capitalismo stesso, del privilegio. Ma, nella declinazione dell'immaginario, appare tutto il contrario. ZTL è diventato uno come Zerocalcare, lo sappiamo benissimo.
Chiudo provocando al massimo.
Io che avrei i curdi tatuati nell'anima, devo poter raccontare di un curdo stronzo, alcolizzato, omofobo che picchia sua moglie perché sta alzando troppo la testa, nel Rojava. La libertà di raccontarne la contraddizione aiuta a sostenere la causa con ancora più complessità.
Se non hai capito questo, hanno vinto gli altri.
Io non mi arrendo.



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