Il ponte

Sabato sono tornato nella mia vecchia Piacenza. Nella via dove abitavo. Ero l'unico italiano a camminare per strada. Un brulichio nuovo, soprattutto di bimbi. Dai negozi di telefonia, ai discount etnici, a quelle mille facce indaffarate, giovani, vitali. Erotizzate. Dal nero ebano agli slavi diafani, passando per i suoni gutturali del maghreb. E i perdigiorno sulle panchine, tutti uomini, straniti dalle prime canottiere femminili della primavera. Così simili a quelli che ho visto in Tunisia al cospetto delle turiste. Certo, c'è da chiedersi come si fa. Come si potrà mai fare. E rileggendo la Fallaci delle cronache americane, oggi, a freddo, avrei voglia di leggere anche l'ultima Oriana, quella del grido livoroso. Che alla fine, rispondeva a suo modo alla stessa domanda. Guardate cos'è successo, e adesso, che facciamo?

Camminando mi sono ricordato di me più ragazzino, a com'era tanti anni prima, sotto la statua della lupa che allatta Romolo e Remo. Le passeggiate notturne, gli amorazzi, la bicicletta, quel distributore di sigarette, dopo il calcetto, prima d'imbucarmi nel solito locale dove potevo salutare la mia gente. Quelli con cui si parla in dialetto o che conosci dalle elementari. Quelli della provincia, palliducci e compressi. La vita lineare, fatta di emozioni orizzontali, in una delle tante bomboniere, le antiche città-madri dell'Emilia. Sabato, i piacentini che riconoscevo sul mercato sembravano pesci fuor d'acqua, straniti, frigidi, salmoni controcorrente nella fiumana nuova. Il fiume è tracimato. So come andranno le prossime elezioni, è scontato, scritto in quegli sguardi e in quello che si portano a casa. Il fiume ha fatto crollare una sezione del ponte. Ma non tutto.

A mezzogiorno, sulla scalinata del duomo c'erano sedute delle donne col velo, al sole. Il mio piccolino le guardava, e poi si è messo a giocare con i loro bambini, correndo sul sagrato.

La retorica avrà certe tinte pastello, ma non cogliere la portata di tutto ciò ha un colore unico, sempre quello.

Il grigio indistinto di chi non vive tra la gente, non lo fa davvero. Di chi ha il cervello e il sesso di plastica. Altroché balle. Non disperate. E' dura, sembra finire tutto quello che portavamo dentro, travolto da come è cambiato il fuori. Un fuori che a volte diventa minaccioso al calare delle tenebre. Ma che il sole, chissà come rende fulgido, virtuoso.

La notte, le tenebre, lasciamole ai professionisti. Riprendiamoci la battaglia del giorno. E occhio ai toni e alle attitudini, anche tra noi. Ci vogliono convincere che si sta scrivendo il libro dell'Apocalisse. Mentre, forse, brilla la Genesi.
Fate i figli, votate quel cazzo che volete, ma all'interno della scelta di fondo. Senza affondare. Ricostruite il ponte di barche, con tutti.
Lasciamoli vincere, gli ottenebrati, lasciamoli vivere la loro sconfitta mascherata da trionfo, la loro festa che ricorda il girare a vuoto intorno al fuoco dei nani di Herzog. Stiamo pronti, con dolcezza, ironia e schiena dritta. Fanculo alla destra, a quel groviglio di merda che c'hanno nella testa e nella banalità orizzontale della loro vita. Che di sacro ha nulla.
Nulla.

Erotizziamoci, lasciamoli frigidi e sterili.
La strada è bella chiara, fin da quella notte in cui il direttore del Corriere della Sera andò a letto convinto che avrebbe vinto McCain, perché l'altro non aveva capito l'America profonda. Poi, venne il giorno…

Ellen Kooi, "Nieuwkoop-Sluis"


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