Trash

Nel mio piccolo sono un fottuto talent-scout, direbbe Tarantino. Lui pesca a piene mani nell’immaginario dell’entertainment popolare, di ogni tempo e latitudine, riscoprendo un fascino perduto. Anch’io, tanti anni fa scoprii lui. Era un periodo che mi sparavo due film alla volta, con amici cinefagi. Entravo in un cinema e poi in un altro. Quella sera d’estate i titoli che c’ispiravano di più erano “Reservoir dogs - Le Jene” e “Cuba libre”. Tralascio il secondo, già da quella sera rimasi colpito dal primo. Era qualcosa di nuovo. Forse perché era qualcosa di vecchio. Insomma, una felice scoperta per le quattro persone sudaticce in sala. Anzi, ora che ci penso, due facevano dell’altro. Doppio film in una sera, come nei “grindhouse” americani, le sale a doppia proiezione. Ci si poteva trovare roba di kung-fu, o blaxpoitation, o inseguimenti d’auto con super-stuntman, o le super-amazzoni di Russ Meyer. Prendere gli elementi, mischiarli, ed ecco servita la pietanza. Il cuoco Tarantino analizza i generi con la pazienza dell’entomologo. Studia, seziona, rielabora. Ma quello che mi piace di lui è che ne rimette in scena la vitalità. Ormai conosce la grammatica talmente bene, da non doversi preoccupare troppo dello stile. O, per meglio dire, si spinge a tali livelli che lo stile diventa contenuto. E l’epica del film è un’epica “interna”, con il gioco delle citazioni e dei personaggi-macchietta che usano se stessi come icone, scartando all’improvviso di lato. Come se Willy Coyote raggiungesse all’improvviso Beep Beep e se lo divorasse. Ecco, questo succede. Gli piacciono i suoni della parole messicane, come al vecchio Peckinpah. Gode al suono dei “Burrito”, dei “Tacos”, di una “Piña Colada”. Non a caso Peckinpah spicca su una maglietta. “L’ultimo Buscadero”, c’è scritto. Il titolo italiano del film con Steve McQueen. In italiano, non l’originale. Diavolo d’un Quentin. E il primo quarto d’ora è una tempesta di parole, un’esondazione. Parole vacue di donne, tra sigarette, birre, sms. Horror vacui, direbbe chi parla bene. “La puta que te pario”, scriverebbe Quentin nel copione. Una nera ricciolona, una bionda, e “Butterfly”, una mora stile Angelina Jolie. Ecco il trittico di icone femminili che intriga il regista nella sua impostazione geometrica. Dittici, trittici. Sì, perché questo “Death Proof " che vedete al cinema è la prima parte di un dittico in stile grindhouse, la cui seconda parte – “Planet Terror” – è stata girata da Robert Rodriguez e uscirà tra un mese, usando come protagonista una delle ragazze di Tarantino.
Fiume di parole, nel profondo Texas. Fiume di parole grezze, con l’imprinting di una DJ chiamata “Jungle Julia”, che vive del suo personaggio. Tanto da sbraitare insieme alle amiche ogni volta che trova un cartellone con raffigurata se stessa. L’icona esulta di essere icona, triste per un sms deludente, felice per un sms speranzoso. Insomma, macchietta, okay. Ma anche realistica. Tipe del genere se ne vedono parecchie nei locali nostrani, o iconizzate in “Lucignolo” su Italia Uno. Jungle Julia e le strafatte. Jungle Julia che incastra Butterfly in una promessa di lap-dance. Fuori è posteggiata un Dodge Challenger nera, col teschio sul cofano. E “Stuntman Mike” è nel locale con la faccia sfregiata di Jena Plissken e seziona tutto e tutti, col suo gioco, d’icona e di parole. Punta il trittico, usa il barista – diavolo d’un Quentin – e le altre femmine in un gioco di sponda per arrivare alle femmine che l'interessano. Anche in lui non è si specchia la verità, ma la verosimiglianza. Che nell’eccesso diventa ironia. Lui cerca di mettere un timbro nell’horror vacui, col suo curriculum. Ha fatto la controfigura in mille telefilm, li snocciola a gran voce, tra un pezzo e l’altro del juke-box. Ma nessuno li ha visti. Forse, se qualcuno li avesse visti si sarebbe salvato. Non vi dico cosa succede dopo, fuori dal locale. Vi dico che c’è il botto improvviso, che Willy Coyote cattura Beep Beep e lo riduce a polpette, lasciandovi a bocca aperta. Le cose accadono, e basta. Liberatorie. Senza motivazioni psicologiche, nel gioco delle icone. Come se noi all’improvviso potessimo sparare al televisore mentre c’è “Lucignolo”, o “Verissimo”. La sensazione del botto è questa. Liberatoria. L’horror vacui, riempito da un “plenum” assordante. Siamo a bocca aperta, ma subito scoppiamo a ridere sui dialoghi stile Lansdale tra uno sceriffo texano e il suo figlio tonto che riflettono alla texana sull’accaduto, sotto i loro capelli texani a tesa larga.
Poi, ci si sposta in Teneesee, 14 mesi dopo. Perchè c’è la seconda parte del film. La metà del dittico è a sua volta divisa a metà. Quindi il dittico potrebbe essere un “quadrittico”, se anche Rodriguez ha fatto lo stesso con la sua pellicola. Quattro film in due, che sono uno. Fantastico. Comunque, ecco in scena il trittico femminile: nera ricciolona, bionda, mora. Con una piccola aggiunta poco importante. Questa seconda parte deve davvero tanto al Russ Meyer di “Vixen”. L’inversione a “U” del racconto è la stessa di cui vi ho parlato in un altro post. La geometria e l’impianto drammaturgico si ribaltano specularmente. La notte diventa giorno, stavolta saltiamo sui sedili di una Dodge Challenger bianca. Non rivelo nulla, dico solo che nel finale le donne in sala si sono messe ad esultare come allo stadio. Yayhhhhhh!
Grande Tarantino, in fase misogino-femminista, ormai troppo sopravvalutato e insieme troppo sottovalutato. Termoconvertitore del trash. Invecchiando, sei diventato anche un simpatico moralista. E qui, forse, hai confezionato il più “tarantiniano” di tutti i tuoi film.

Sorpresa. Anche questo post ha due storie, come nei grindhuose. E si ribalta geometricamente, tenendo come base il titolo.

Roberto Saviano l’ho incrociato una notte su Rai Due, restando colpito prima  dal volto. Poi dalle parole. Tutto molto autorevole. Scoprii che era un autore e mi appuntai il titolo. “Gomorra”. Lo andai a comprare subito. Ai tempi, il commesso doveva guardare sul computer, per tirarlo fuori da uno scaffale nascosto. L’invidia non è un sentimento che mi appartiene, ma farò un’eccezione. Invidio Saviano, la sua potenza, la sua intransigenza, il suo vivere la scrittura come elemento totale. Totalmente etico, totalmente intenso, totalmente avvincente, totalmente reale. Invidio la mia invidia per un ragazzo giovane, che mi spinge a comprare una rivista solo vedendo il suo nome in copertina. È il più grande, e a parecchie lunghezze da tutti gli altri. Non ho mai letto una sua frase concepita per compiacere. Uno potrebbe dire, che c’entra col "piacione" Tarantino? Che c’entra il trash?
C’entra, se teniamo buono il ribaltamento geometrico ma speculare a cui accennavo. Perché, paradossalmente, anche in lui lo stile è tutt’uno col contenuto. In una sua intervista cita Hemingway, che definiva lo stile come “grazia sotto pressione”. Una definizione meravigliosa. La grazia compressa di Saviano, ora, deve girare sotto scorta. Perché l’oggetto del suo stile è la denuncia sociale. Le sue doti di entomologo le usa per sezionare la cronaca e la storia recente della sua città, in un grido documentato che non lascia scampo. Un grido per il quale è difficile trovare il fiato. Si rischia di non avere né fiato né scampo.


Il “trash” c’entra perché sull’ultimo Espresso la sua grazia sotto pressione s’è occupata di spazzatura napoletana. Rivelandoci dettagli interessanti sul controllo camorristico del business e sul nord come cervello del polipo puzzolente. Quello stesso nord che è andato recentemente alle urne manifestando ribrezzo per le montagne di rifiuti di Napoli. Un nord cialtrone e ignorante. Dove Fabrizio Corona si affaccia al balcone, lancia le mutande, e trova i fans in strada pronti ad accapigliarsi per raccoglierle. E le telecamere di "Lucignolo".
Saviano mette il suo timbro nell’horror vacui, tornando a raccontare il paese. Ha fatto i nomi, ha raccontato gli intrecci perversi, li snocciola a gran voce, tra un pezzo e l’altro del juke-box Italia. Ma nessuno li ha visti. Forse, se qualcuno li avesse visti si sarebbe salvato.

Bene, bene, teniamo il cervello in funzione “grindhouse”.
Se continua così verrà il giorno di Willy Coyote, del botto.

Della grazia libera e incendiata.



Yayhhhhhh!



Commenti

  1. mi piace cinefagi

    e sottoscrivo ogni parola riferita all'autore di Gomorra

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  2. finalmente qualcuno che parla di grindhouse.. e ne parla non male..

    è una delle cose che mi sono ripromessa di fare, andarlo a vedere. Ma sono stata subissata da opposizioni.

    A parte Tarantino e Rodriguez, che sono unici, non vedo l'ora di vedere di nuovo kurt russel in un personaggio a metà tra il pompato e la macchietta come in 1997 e 2010..

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  3. RossoFrancesca. Kurt Russel sarà di tuo gradimento. Spacca lo schermo, e non solo quello.

    Alla fine, comunque, ti troverai a tifare, vedrai.


    Secondo me è un film stupendo, e molto colto. Non quella paccottaglia post-moderna che attribuiscono a Tarantino, al sottovalutatissimo Quentin.

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