A mister Iweala

La striscia in alto a sinistra, molti richiami nella colonna di destra. Questo blog è - nel suo piccolo - lambito dalla interessante presa di posizione dello scrittore nigeriano-americano Uzodinma Iweala.

Un atto di accusa contro gli aiuti umanitari delle star occidentali, contro l'occidente che si pulisce la coscienza ammantandosi di africanismo.
Chiaramente, m’interrogo. Sono - nel mio piccolo - sul banco degli imputati.
C'è tanta verità nelle parole di Iweala. Il controsenso degli aiuti da parte di quel mondo che, nei più svariati modi, dal colonialismo in poi, tiene schiacciata l'Africa in un abisso dal quale fatica a riemergere.
Sfruttamento di materie prime, ingerenze politiche, ruolo delle multinazionali, orrida sperimentazione scientifica, la discarica chimico-radioattiva del pianeta. Forse addirittura ciniche considerazioni di carattere demografico, hanno spinto l'occidente a squarciare il cuore dell’Africa. Scompaginando l’equilibrio ecologico e tribale.
Da tempo, come dimostrano le polemiche legate all’ultimo Live Aid, l’aiuto umanitario dei vip è entrato nel cono d’ombra del giudizio critico e auto-critico.
Giusto così. È giusto scremare, che chi si erge a ricco e tronfio tribuno, a benefattore al caviale, facendosi puntare contro i riflettori, venga radiografato in ogni sua intenzione. Per smascherare aberrazioni tipo le adozioni-blitz di Madonna.
È anche opportuno richiamare l’attenzione sui tanti, la maggioranza, che opera nel silenzio. E sulle capacità dei popoli africani di riuscire a riscattarsi da soli. Una piccola domanda circa le capacità auto-reattive e l’evolversi della questione tribale. Come giudica quello che è accaduto in Rwanda, mister Iweala? Perché io me lo sono studiato per bene, e non è un argomento declinabile. Tutta l’Africa dovrebbe usarlo come monito circa quello che si può sviluppare nel proprio seno violato, esattamente come l’Europa ha fatto col nazismo.
Se lo lasci dire, mister Iweala, non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Lei usa un modo di ragionare che finisce per entrare in corto circuito.
Vizi privati, pubbliche virtù delle star benefattrici, dice. Non è un criterio analitico. Sto rileggendo in questi giorni una biografia di Karl Marx illuminante. Privatamente, il “Moro” di Treviri era burbero, cinico, parassitario nella condotta di vita. Padre contraddittorio, sommerso dai debiti, contafrottole, spaccone, polemico, spesso venato da allusioni razziste, amante dell’affettazione aristocratica e sprezzante nei confronti dei proletari dotati di prosopopea. Però, alla fine di tutto questo, la sincerità del profeta umano emerge dalla purezza dello scritto. La sua è una generosa e monumentale opera di riscatto totale. Palingenetica. L’opera di un uomo che cospirava per la speranza, per un domani migliore. Un cuore buono. Questa era la sua natura profonda.
Con la dovuta proporzione nel paragone, analizzi meglio quello che FA Angiolina Jolie, non ironizzi su quello che È. Perché, così si è superficiali, si è razzisti al contrario. Atteggiamento pernicioso per quel “partneriato” che vagheggia.
Stesso discorso, ancora di più, vale per Bono. Attraverso di lui io ho imparato tante cose, mister Iweala. Negli anni Ottanta noi ragazzi occidentali avremmo saputo poco dell’Apartheid sudafricano senza l’impegno del mondo musicale. Certo, l’impegno correva sulle note del lirismo, del richiamo a slogan, con vena retorica. Ma arrivava. Mi spinse a capire la questione razziale, a leggere “Ragazzo Negro” e “Paura!”, di Richard Wright. A capire meglio quei libri sulle Black Panthers e su Angela Davis che avevo in casa.
Quando vedo Mandela e Bono che alzano il pugno insieme come dovrei considerarla, in base al suo modo di ragionare, una vittoria o una sconfitta? Questa melassa retorica, piena di cattiva coscienza a suo dire, ha però creato in pezzi dell’occidente un “mood”, un attitudine che mi spinge oggi a comprare prodotti equo-solidali ad emozionarmi con Rokia Traorè, a cercare la musica del Mali come origine del blues, ad abbonarmi a riviste tipo “Africa, missione e cultura”, a inseguire i film indipendenti del suo continente. A capire come la questione africana sia la cartina di tornasole di tante cose, a essere contento di aiutare come posso, quando posso. Tutto questo è insufficiente, in realtà aiuta solo a sentirmi meglio? Pazienza. Preferisce forse quelli che a Londra, ad Amsterdam, a New York o altrove, disegnano i confini del suo mondo, del suo tempo, del suo continente a tavolino. A quel “mood” io arrivo anche in base a tante cosucce che mi ha insegnato il vecchio barbone prussiano. Discorsini circa i sistemi di produzione del capitalismo e le dinamiche dello sfruttamento. Bono segue le teorie sul debito di Jeffrey Sachs, un ex-ultraliberista che ho incontrato sul mio cammino. Lei le conosce vero? O forse ritiene davvero che in un mondo interdipendente, lo sfruttato si riscatta isolandosi, trovando da sé la forza di riorganizzare il suo sistema, senza prima eliminare le origini dello sfruttamento. Spingendo al paradosso le teorie relativiste, l’"ognun per sé” implica di conseguenza un improbabile “Dio per tutti”. Mi ricorda il dibattito interno a un’altra comunità umana martoriata, quella dei pellerossa. Non aiutateci, dicono i tradizionalisti, lasciateci stare. Lasciateci ricostruire il nostro “Cerchio”, l’equilibrio tribale. È giusto. Ma il cerchio sarà il primo di una serie di altri, concentrici. Fuori dal cerchio c’è qualcosa con cui si deve fare i conti, volenti o nolenti.
Comprenda un po’ anche noi, mister Iweala. Anche noi siamo una tribù, abbiamo bisogno di riti, miti, di ricostruire il nostro cerchio, il nostro ideale. Vi abbiamo sfruttato e distrutto, volenti o nolenti, il nostro riscatto ha a che fare con voi. Africa come elemento psicologico? Africa come mito? Africa come fonte d’invidia, come emblema della natura, del colore, del ritmo, della vita primigena?

Bene, sfruttate questa vostra impalpabile superiorità.

Il mio motto sono le parole di un altro prussiano, un poeta, Hugo von Hofmannsthal
. “La via più corta per arrivare a voi stessi passa attorno al mondo”.

Nel cammino per tornare a sè stessi, qui, si trova l’Africa, mister Iweala.
Come lei, forse, ha trovato l'America.
Si senta pure a suo agio con quella ragazzina occidentale che grida: "Salviamo il Darfur!".


Noi, voi, ONE.
Volenti o nolenti, usiamoci.



illustrazioni di Brad Holland





Commenti

  1. Sfruttamento di materie prime, ingerenze politiche, ruolo delle multinazionali, orrida sperimentazione scientifica, la discarica chimico-radioattiva del pianeta...


    com'è sentito il tuo modo di scrivere, intelligente, profondo

    bellissimo il motto, me lo scriverò da qualche parte

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  2. ma ti ha risposto poi, nel tuo piccolo, mister iweala?


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  3. *Io pensavo di tatuarmelo, Yzma ;)


    *No, mister anonimo. Si sa che i blog sono redatti da gente che parla da sola.

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  4. Il mio decreto di idoneità all'adozione è scaduto dopo 3 anni e Madonna prende un aereo e fa un'adozione-schippo, impunita, addirittura osannata. Olè! Lì per lì mi son girate le scatole. Mi girano ancora molto, per la verità. Poi però penso che, forse (e dico forse!), quel bambino potrebbe avere più opportunità e aspettative di vita di quante non ne avrebbe avute in Africa.

    Allora, forse (e dico forse!), anche il caviale e lo champagne possono smuovere qualche acqua, qualche coscienza. Anche quando i mezzi con cui si ottiene il fine possono sembrare (sono) molto discutibili.

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  5. per-fet-to.

    lo', sei sempre il mio leader;)


    ti [vi] seguo.


    Achab

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  6. Ciao Lorenzo,bello il tuo commento.Avevo perso il pezzo su Repubblica.Quel nigeriano è evidentemente un gran coglione.Non ha capito proprio niente.Ciao

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  7. Il commento precedente è mio .ciao antonio g.

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  8. lo so che non c'azzecca con questo tuo bellissimo post... ma... buon onomastico! :)

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