L'eterno presente

Io non so bene cosa sia la bruttezza assoluta.
So che ne vedo tracce, qui. In quei filmati a ciclo continuo dove la gente tortura animali, per esempio. Il gesto del filmato non mi appare tanto più grave del gesto del metterlo. È il mare di replica dell'orribile nel quale navighiamo, ormai assuefatti. Intervallato dalla risata crassa, da gente che cade, vacilla, si fa male senza volere, o fenomeni strabilianti che sbigottiscono gli occhi dei giudici del talent. La coscienza deriva dall'essere sociale, è la vita che ci plasma la coscienza, non viceversa. E quale coscienza sarà mai quella che si nutre solo di indignazione, o dalla fascinazione per un estremo periferico? Per il fenomeno, sia di malvagità che di abilità. Pensare che l'uomo sia malvagio, o che da solo, baciato dal talento, possa tutto, come nei games. Che belle consolazioni conservatrici. La voglia di linciare il torturatore di animali, lo sfogo liberatorio a parole. «Vorrei averti fra le mie mani, bestia, farti lo stesso che fai alla bestia!». Intanto, pianti tuo figlio davanti a un documentario di questi tempi, che sembra un videogioco, dove la natura è tutta nemica, la predazione una specie di scontro tra ninja, con le musiche della suspance. Altrimenti si annoia, pensi, pensano, ti fanno credere. Tutto wild, negli estremi periferici delle città. Quella che era la pulsione catartica degli horror ai tempi delle fabbriche, il buio fuori, che entra, ora è entrato, diventando la nostra matrice, allungando a dismisura una adolescenza, ormai perpetua, che comincia a sette anni e finisce a settanta. Un eterno presente destabilizzato: cuore nero della nostra pedagogia on line. Insisto, ci vogliono indignati, vendicativi, incazzati, soli, concentrati su verità parziali. Distogliendoci da ciò che conta, da qualsiasi ricerca di una verità complessiva. Che è esercizio faticoso, richiede tempo, respiro, rispetto, curiosità, passeggiate. Piccoli stupori in sequenza tranquilla, non il grande botto emotivo in rete. Ma non si può, bisogna ansimare. Lo vuole il nuovo turbocapitalismo, che sa di poter fare a meno della fabbrica, della natura, dell'uomo stesso.

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Vanessa

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