Il signor Hood


Comunque, ricordo cosa mi disse, accendendosi una sigaretta dopo l'altra: "Siete pacifisti, un'ideologia come tutte. La non-violenza prevede la forza per perseguire l'obbiettivo!"


Un po' lo capivo, c'era stata la Resistenza, ma lui non citava quell'esempio, anzi, proprio gli era indigesto. Mi sfuggiva come 'sta prosopopea potesse conciliarsi con i bombardamenti a tappeto di George Daboliù contro il popolo del suo ex-alleato. I ragazzi intorno a lui erano borghesotti con i capelli lunghi, un po' sfatti, ciondolando ripetevano a mantra che tutto quel che dicevo l'avevo letto sulla Pravda, su l'Unità. Qualche dandy, col farfallino, puntava l'indice. C'era grande passione politica in loro, ma tipo la dedizione dei venditori del Folletto, col sorrisetto sprezzante. Noi, gli ottusi, ai loro occhi, quelli della solita tiritera garibaldina.


A me è sempre piaciuto discutere con quelli lontani, amare un po' le loro tesi, stringere una specie di profonda amicizia nel discutere, mi piace cogliere nell'altro come vede quel che si pensa di qua, per poi smussare, rivedere, piallare, come si fa con i dialoghi dei romanzi. Ma sono stato raramente capito, in questo slancio. Non sapevo, ai tempi, che questa attitudine, in parte arrivava da quel mondo, dalla concezione liberale del dibattito. A differenza mia, loro conoscevano a memoria interi articoli del giornale fondato da Gramsci, la loro scuola politica consisteva anche in questo strano praticantato.


Poi, anni dopo ho visto il Pannella con una tuta mimetica degli ustascia croati. In quei giorni, dopo il bombardamento al mercato e il ponte di Mostar distrutto, noi ci si radunava in piazza, con le candele a lutto, qualcuno stava organizzando aiuti per quel brandello insanguinato d'Europa. Fu lo strappo definitivo.

Poi, lo scontro con i sindacati nel momento in cui tenevano in piedi il paese, mentre i magistrati lo bombardavano. Lui fu tagliato completamente fuori da quel che avvenne in Tangentopoli, non sapeva che lettura politica darne. Da lì, una specie di sindrome pasoliniana, scagliarsi contro tutto quello da cui fingeva di non essere capito, ma che in realtà non capiva, per gioventù perduta, per scarto nel linguaggio. Il non tanto strano abbraccio con Berlusconi, una lettura sempre molto ideologica e unilaterale della questione palestinese, l'assenza totale nell'elaborazione New Global, Genova, il G8.


Quello che la cultura radicale ha dato alla società negli anni Settanta l'ho studiato, ne ho visto gli effetti, lo leggo ora nel curioso fiume in piena dell'amore incondizionato che tutti improvvisamente manifestano per Marco Pannella. Io mi prendo la parte libertaria: il proibizionismo, la droga e il carcere come cemento di un orrribile dominio. Ma quando voglio chiudere il ragionamento su quel dominio, non trovo più nulla, lui non c'è mai. Quando la cultura liberale da libertaria si fa liberista - in economia, nella lettura geopolitica - secondo me si avvita e si incarta, ancora di più di come facevano altri con la Pravda. Marco Pannella, per tanti di noi, ottusi garibaldini, non è stato un Maestro, un esempio di pratiche, magari. Un interprete disordinato di insegnamenti che arrivavano da altro, forse anche da un Lui passato, lontano. Ma, no… non credo sia lui. Perché la divisa ustascia, Aldo Capitini, Padre Balducci, quelli seri, non l'avrebbero mai messa. Non so Croce, o Pannunzio. Forse Longanesi, il corregionale Flaiano… Papini di sicuro.


È roba da goliardi, in fondo.

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