Ogni inquadratura, un'idea di destra.


Bello manicheo, ma che goduria, e che Genova di grigio acciaio, percorsa in lungo e in largo. Il manifesto fa un baffo al sotto citato Blade Runner 2049 e cavolate grafiche recenti. Il film tutto - per me - fa un baffo a tanti i finti noir odierni e all'intera produzione di Quentin Tarantino, che è stata uno svolgimento di secondo grado su questo tema. Un Enzo G. Castellari in stato di grazia: montaggio, luci, cambi di scena in piano sequenza. Un inseguimento di otto minuti, in onore del faro ispiratore: "Il braccio violento della legge" di William Friedkin. Si sente l'influenza di Peckinpah e dei kung-fu movie, in un gioco di contaminazioni reciproche, più che citazionistico. Come in "Keoma", le scene melodrammatiche di Castellari si concentrano sul primo piano di Franco Nero, in una mistica cristologica che rasenta il ridicolo, senza trovarlo mai. Siccome la materia è quella evocata dal titolo - la società che si ribella alle pastoie burocratiche, seguendo la chimera di una giustizia fai-da-te - il Cristo/Keoma risulta attualissimo, il contraltare reazionario dell'icona guevarista dell'epoca, la quale alimentava la mistica opposta, il sacrificio collettivista. Eroi solitari armati, liberatori, in entrambi in casi, ma con obbiettivi ed evocazioni di immaginario diverse, e punti di partenza agli antipodi. I giustizieri solitari di Don Siegel e Castellari - Callaghan come il commissario Belli - sono dei Mishima che non credono più all'uomo, alle sue sorti possibili, ribelli in quanto disillusi.
Questi registi di genere, come l'Enzo G., sono i poeti assoluti della "destra" romana, con quelle facce scavate di protagonisti e comparse, arrivano a interpretare lo stesso spirito popolaresco pasoliniano, con una maggiore naturalità, senza l'intercapedine intellettuale. Pura messa in scena. In questa pellicola, nei vicoli c'è la droga, i killer coi ganci dei portuali, non le comparse di Medea. Ogni inquadratura, un'idea. Una visionarietà assoluta, che abbiamo perso. Facce di cobalto, attori solidi, personaggi un gradino più su delle semplici macchiette. Perfino certi dialoghi sono di rara efficacia, per il genere. Colonna sonora da urlo, con una chicca assoluta: si sente l'accenno melodico dei De Angelis a quello che sarebbe diventato il refrain di Sandokan, pochi anni dopo.

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