Furiosa







Come al solito, orrida locandina, ché ai tempi mi rese prevenuto. Anche perché la saga di Mad Max non mi ha mai detto nulla. Tempo fa, però, sono incappato in un video tratto da questo film. Poi, un altro. Irresistibili. Ieri, me lo sono visto tutto e sono rimasto basito.

Un capolavoro assoluto, per tanti motivi.

Due ore di inseguimenti: veicoli sputafuoco lanciati all'assalto permanente di una blindoscisterna, un camion corazzato e teschiato a dovere, guidato da una guerriera ribelle di poche parole e con un braccio solo (una Charlize Theron da urlo). Il grande veicolo trasporta acqua e benzina, elementi base di una umanità-base. In realtà nasconde donne, sementi, fertilità: elementi base dell'umanità-tutta.

In un contesto di strane civiltà: minions cadaverici, sabbipodi motorizzati. L'imperatore incazzoso, a metà tra Predator e Darth Fener, che controlla il flusso dell'acqua e schiavizza le genti. Schema tipico da filmone a cartoni animati, la missione per l'acqua, Madagascar 2.

C'è di tutto, nell'action movie più action che si possa gustare. Con tecniche di ripresa cinetica mai viste, un lavoro su musica e rumori che farà scuola. Lo schema dei combattimenti a flussi progressivi di nemici, tipo i film di kung-fu; the Warriors, i Guerrieri della notte. Sì, ritroviamo atmosfere e suggestioni da decine di altri film, ma il gioco citazionista tipico della spettatore superficiale ti si spegne ben presto.
Resti stupito da un'altra cosa. La lingua. Una ricerca sulla verbalità post-apocalittica che riporta all'Antony Burgess di Arancia Meccanica. Si indaga il linguaggio possibile in un contesto estremo.

"Ammirami"
"Mediocre".
Dialoghi che valgono come scene d'azione, stupefacenti. Come i silenzi. Il protagonista dirà tre parole in croce, meno del Riddick di "Pitch Black", tra i film antesignani di questa pellicola.
E poi le Cinque Mogli, i porcospini; gli eponimi: Furiosa, Nux, Il Fattore, Mangiauomini.
Un territorio linguistico e tribale, evocato anche da Sol Yurick in "The warriors", appunto.
Il lungo viaggio, la meta, l'inseguimento. La tempesta di sabbia, il ghiaccio, il fango, la sabbia, i canyon. Come nella grande epica greca la meta delude, diventa una pausa dove ristorarsi nell'oasi immaginifica. Qui, un gineceo di anziane donne guerriere, custodi anche di un residuo di spiritualità. Una meta che da Eden si trasforma in giro di boa, in consapevolezza: la "benzina" emotiva per la missione del ritorno.
L'Australia, che serbatoio di immaginazione.
Un grande visionario, 'sto George Miller, mi ha ricordato un regista anni Ottanta suo conterraneo che ho amato tanto, Richard Stanley. Forse, il film che John Carpenter avrebbe sempre voluto fare. George Miller, il settantenne che dà dei punti a tutti i "pischelli arroganti" di oggi, come ha scritto Joe Dante.

Di sicuro, Miller ha visto, rivisto e studiato "Ombre Rosse" di John Ford, passato alla storia come il film dell'assalto degli indiani alla diligenza. Quando invece è la storia del riscatto di una donna, della condizione femminile, come questa pellicola.
"Mad Max: the Fury Road" è lo "Stagecoach" ipertrofico del nuovo millennio.

Godiamocelo!

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