Vienna, 1908

Nella crisi, il passaggio tra due secoli, tra l'antico e il moderno. Dietro la crosta dell'impero che fu, un diffuso e misterioso mal di vivere, i suicidi. L'architetto Adolf Loos teorizza che Vienna sia "malata di ornamenti" e concepisce un nuovo canone di bellezza, togliendo orpelli e falso oro. La sua Looshaus viene criticata dai benpensanti, per la facciata spoglia. "Un palazzo senza sopracciglia", ridono i critici. Ma nell'interno custodisce il segreto delle luce che arriva ovunque, nel gioco degli specchi. Sigmund Freud, intanto scruta il segreto interno dell'umano, a partire dalla storia clinica del piccolo Hans, un bimbo che ha paura dei cavalli neri col muso bianco e i paraocchi. Teme che gli mordano le mani. L'interno, l'inconscio. Egon Schiele disegna da prima di compiere due anni. E si affronta. A venti s'immortala nudo, quasi scorticato. 
 
Viene incarcerato per oscenità. Solo, come l'umano tutto. In lui: la città, il tempo, la prigione dell'essere, ogni passaggio. Arnold Schoenberg porta nel suo quartetto d'archi le dissonanze armoniche delle pene d'amore. La moglie s'invaghisce di un altro, il quale poi si suicida. "A mia moglie", tre semplici parole vergate a dedica del libretto. Alla prima del concerto il pubblico ride: "Sembrava un convegno di gatti", recensirono i critici. Ma quelli nel cervello di Schoenberg erano gatti in amore. 
Solitudine e disarmonie. I bordelli di Elsa Jerusalem, mai raccontati in Italia, mai edita. Il regno dell'oscurità dietro la facciata dei cafè e delle intoccabili dame borghesi. Sotto la luce rossa, i cerchi di sangue della sofferenza femminile. Il romanzo di una donna emancipata che racconta, e intanto chiede dignità, libera sessualità per tutte le donne, la fine dell'ipocrisia dei due pesi e due misure. Il flusso di coscienza in letteratura. I fotografi Emil Klager e Hermann Drawe si spingono nel sottosuolo, negli inferi urbani, a immortalare l'umanità dolente che vi dimora. Pionieri della ricerca sociale. E intanto, là sopra, Karl Lueger, il sindaco di "tutto questo", cerca di ammansire la popolazione agendo su "tutto questo". Mette i lampioni per illuminare l'oscurità, i tram per spostarsi agevolmente nell'immobilismo esistenziale, le condutture dell'acqua per riempire le intercapedini buie del sottosuolo, e impianta nelle coscienze l'antisemitismo come spauracchio per veicolare la rabbia. "Decido io che è ebreo!" tuona, mentre sceglie i libri di testo scolastico a impronta eugenetica.
Un certo Adolf Hitler lo ascolta. Il giovane frustrato Adolf, compagno di accademia di Schiele, neanche ammesso all'esame perché disegna "vecchio". Odia la modernità, Adolf, la vede come un cavallo nero maculato di bianco: i suoi mediocri acquerelli tratteggiano una Vienna ideale, arcaica e sontuosa, quella di cento anni prima. Ricostruisce con pennino e china gli antichi palazzi abbattuti.
Vienna, 1908.
"Il Laboratorio della fine del mondo", scrissero alcuni.
Lezione fulgida, da tenere (al) presente, in un tempo quasi identico. Con la differenza che ora vediamo all'opera solo Lueger.


dopo aver visto il suggestivo documentario di James Fox per la BBC: http://www.bbc.co.uk/programmes/b04f83xq
qui su RAI 5: http://www.raiplay.it/video/2016/09/TRE-CITTA-UN-SECOLO-afe874ef-1693-41d7-950a-fc2de418d100.html

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