Rush finale

L'abito fa il monaco e il cartellone il film, IMHO.
Ron Howard è bravo, sono sicuro che ha lavorato bene. Ma io non riesco a entrare in un negozio con la vetrina pacchiana.
Che cultura "illustrativa" esprime questo poster? Cosa sottende? Cosa potrà mai differenziare la materia trattata qui da quella di Iron-man?
È questo il punto, la spaventosa caduta culturale di tutte le maestranze dell'immagine, devastate dall'omologazione della computer grafica. Questo, ovunque, anche perché, seguendo il mood del cinema, che traccia le linee dell'immagine, anche gli illustratori, i grafici pubblicitari e i disegnatori di fumetti - salvo mille eccezioni, per carità - si dividono tra i computeristi e quelli che si beano del tirare via, del disegnare male. Come se passassero così per caso nei territori del loro mestiere. Tipo i giovani attori o scrittori quando siedono nei salotti televisivi. Quel finto understatement, che in realtà nasconde un mix tra insipienza e arroganza. Senza saperlo, sviliscono la storia, la dignità del loro lavoro.
Così come i cartoonist che "tirano via" sulla scia dei cartoni animati degli ultimi vent'anni. Linee storte, recitato ggiovane, gag di getto, sempre citazioniste in salsa nerd-tarantiniana, post moderna, sono i più apprezzati, cliccati, retwittati da coloro che passano così per caso nei territori del mestiere di critico e lettore. Ma la rete scivola su tutto. Alla fine, guarda caso, tutto diventa di nicchia, di elite, a vedere i numeri reali. Se la cantano e suonano in cerchie ristrette, perché il grande pubblico, i grandi numeri, per una curiosa legge del contrappasso privilegia la qualità, la profondità, il taglio oggettivo, il rintocco di una storia, ben più dell'autobiografismo, ama addirittura tornare al classico. Ama sognare con un disegno, entrare con la fantasia in una illustrazione che apra un mondo, non un ombelico, un avatar. Senza fatica, difficile trovare magia, c'è più niente.
Per me, hai toppato la vetrina, Ronnie.

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