Tra le righe

Scopro in questo viaggio tanti scrittori che non conoscevo; resto colpito dalla loro umiltà, dall'empatia e dal livello culturale. L'America profonda, quella del centro del viaggio, degli Stati interni, è scorporata dal cuore consumista, attraverso la letteratura si affronta di continuo. Ognuno di questi cow-boy bianchi si è costruito un ranch in un luogo emblematico e scrive di natura e indiani, arrovellandosi tutt'oggi sul tema della deprivazione delle terre, del genocidio dei nativi. Sono scrittori onestamente macerati dal senso di colpa, che usano la prospettiva naturalista come chiave esistenziale e politica. Parlano al mondo dal cimitero indiano sulla collina di fianco al ranch. Alcuni, apertamente socialisti. Stessa cosa per i neri degli stati più a sud. Sono il mio retroterra culturale, faccio questo viaggio mentale da sempre, da Steinbeck, London, Thompson, McCoy, Faulkner, Caldwell, Maltz, Wright e tanti altri. Poi i "noiristi" delle due coste, quasi al completo. Se penso a tanti scrittori italiani, che vivono avvolti di fumo ombelicale, negli apericena letterari, pieni di vanità e provincia, delittucci e osterie, vestiti mentalmente come i loro personaggi, incapaci di affrontarsi e affrontare, mi prende lo sconforto. Siamo seduti sulle ossa dei briganti, dei ribelli, dei partigiani, delle streghe, dei patrioti, dei picciotti, dei genocidi ambientali, degli scontri di piazza, delle bombe, del fanatismo familista, delle menti pretelevisive; mille chilometri di lingue e travaglio, duemila anni di storia stratificata: sangue, mare e vita. Abbiamo zombie e fantasmi dappertutto, senza bisogno di scimmiottare quelli di Halloween, abbiamo vicende impressionanti sulle nostre montagne, sulle coste, a mezza collina. Ma siamo diventati piccoli, piccolissimi, scatolette da editor.
Senza più viaggio.

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