Vado al Massimo















Faticherò a crederlo. Un marxista affezionato a un miliardario è roba da intercapedine idiota del calcio italiano. Però, era così. Massimo Moratti, tra l'altro e per assurdo, era un compagno. Per questo l'hanno sempre tenuto ai margini, gli squali puttanieri nostrani. "Ma come, un bauscia coi dané che usa la squadra per finanziare gli zapatisti?! Allora è il fratello scemo della ditta!…"
Spendere una montagna di soldi per amore, capendoci poco, testardo d'amore. Nossignori, era il fratello migliore.
Mai, neanche quando alzava le coppe al cielo, l'ho percepito come vincente. Stessa maschera di malinconia, stessa frangia, le sigarette e l'espressione sghemba e dolente di De Andrè.
Indonesiani? Okay, tutto scorre, nel delirio capitalista.
Ma l'icona, l'impronta del cuore, restano.
Quel presidente schivo, d'altri tempi, da solo in tribuna. Cappotto d'inverno, camicia d'estate, sempre di fretta pigra. Non conosco il dialetto lombardo tanto da vestirlo di un epiteto alla Gianni Brera. Mi tengo un ricordo nudo.
Faticoso, sì.

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