La madre di Bambi

La cultura dei games nelle arti visive è come l'hip hop in musica. Il fiume in piena che tracima e inonda tutto. Nel mainstream non c'è film, cartoon o fumetto moderno di azione, di horror o fantascienza che non si richiami ai videogiochi, inseguendone il ritmo adrenalinico, l'effettaccio mozzafiato tipico appunto del codice binario improntato su velocità, riflessi, stupore. La pedagogia dei film, dei cartoni e dei fumetti per l'infanzia, poi, ridotta a sfoggio di infantilismo adulto, senza più nessun distinguo rispetto al linguaggio della pubblicità o della narrazione - appunto - "adulta". In verità non abbiamo tanto assistito ad una evoluzione della narrativa per bambini, quanto ad una infantilizzazione di quella per adulti
O meglio, si cerca un territorio di mezzo dove questa differenza non esista più. Dove non ci sia più nessuna differenza.
E il codice binario diventa 3D, si inventa tridimensionale, impone un campo di gioco totale, moltiplica i supporti, punta all'onnicomprensività, all'eternità ciclica, ovvero alla metafisica del consumo.
I papà ragionano sui bimbi in quest'ottica, nell'atto dell'acquisto. Quello che stupirà me, stupirà mio figlio; se io ho voglia di questo, ne avrà voglia anche lui. Immaginano il divano, il chiuso della casa, il bimbo zitto e buono in auto o al ristorante, la perimetrazione fisica del campo dell'esperienza in cambio dell'eccitazione di un finto infinito, pre o post-esperienziale. Purché esperienziale non sia. Per potersi cimentare nelle gare più spericolate, senza avere a che fare con la più difficile, che poi gara non è, quella affettiva. Il bimbo viene parcheggiato nella kid-room del centro commerciale globalizzato.
Questo è il codicillo nascosto nello scontrino.
Nei film animati, ultimo avamposto di ricezione passiva, i bambini non fanno altro che immergersi in scene di azione, davanti alle quali restono catatonici, con un processo di identificazione blando in personaggi unidimensionali, mal disegnati, ipercolorati, simili a loghi di prodotti; la dinamica è inseguimento, effetti sonori e visivi, l'ironia guascona tipica degli adulti, col peto come apice comico; la statica, il campo lungo, il respiro non sono più componenti dell'immaginario ideato per loro. Così come i personaggi a tutto tondo e le loro emozioni. La madre di Bambi non morirà più, immersa nella natura, se non nel palloso cimitero del vintage. La profondità della morte, della goia, del dolore, dell'esperienza, sono rappresentazioni pedagogiche. Quindi, armamentario vintage. Possono arrivare solo in forma liofilizzata. La fruizione passiva deve richiamare in ogni singolo istante quella attiva, il joystick, il wi-fi, i magaschermi o le funzioni interattive. Attivo, passivo, inter-attivo, iper-attivo anche in campo linguistico ogni divario deve essere colmato. Ogni particella di specificazione eliminata.
Azione, il verbo-altare del tempio illusorio, sul quale immoliamo tutto il resto.
A giudicare il lavoro degli operatori del settore questa rivoluzione involutiva potrebbe sembrare solo pigrizia, incapacità di tenere viva l'antica sapienza e la dignità del proprio mestiere di costruttori di emozioni, prendendo la comoda scorciatoia del linguaggio games, della mono emozione. Scorciatoie, slogan, semplificazione. Un perenne senso dell'apocalisse incipiente, quindi della precarietà assoluta, bilanciato e risolto dal gioco e dai consumi, o dalla falsa ribellione a tutto questo, tenendosene ben stretti i presupposti come base di azione. Una sorta di religione misterica, palese in tutto, ma nascosta alla consapevolezza. Sta accadendo in ogni ambito, perfino in politica. Mai più destra, mai più sinistra, solo OLTRE. Cultura del FARE, faccio click e risolvo, pragmatismo totalizzante, nichilismo travestito di buone intenzioni, la leadership moderna s'incardina su questi presupposti. Il leader è uno sciamano, che conquista la fiducia della tribù per meriti carismatici individuali.
Tornando alle forme di comunicazione, si può dire che sta venendo meno ogni ambito di specializzazione, tranne ciò che richiama a un turbocapitalismo globalizzato, che spinge appunto al dilettantismo di massa, che sottende il dilettantismo esistenziale, ovvero la fine della consapevolezza delle età della vita: i bimbi con cresta, orecchino e occhio sicuro, gli anziani vestiti da adolescenti, con gli zigomi al botox; questa religione totalizzante, il monoteismo del mercato, ha un solo comandamento: la fine dello spirito critico, il nemico primo della vendita dei prodotti, l'ostacolo supremo alla creazione di un alienante regno da sogno. Ecco perché serve il peto, la sfilata carnevalesca, il raduno in cui contare le proprie maschere, che siano cosplayers, fans di un gruppo plasticoso o militanti politici post-moderni poco cambia. Tutto questo certifica, sublima, attesta il tempo in cui viviamo, com'è fatto. Assembramenti come sfogatoi, nel segno dell'illusoria fine della fatica umana.
Purtroppo, il fiume omologante esonda anche nei fortini che sembravano protetti.
Le principali case editrici s'attrezzano per il cinema, potenziano gli uffici legali, la politica delle licenze e del copyright, vogliono entrare nel gioco, in tutti i sensi. Abbandonano il segno, l'affresco, il realismo, la funzione, la ricerca umanistica. Si dedicano solo a quella tecnica e tecnologica. Si suicidano nella mediocrità.
Ma i conti, per fortuna, non tornano.
La strega chiamata economia ha una sua logica esoterica, misteriosa. E gli illusi non vendono. Hanno creato un territorio immenso e non riscono ad abitarlo tutto.
Se tu privi l'umano di senso, oppure cerchi di ridurre i sensi a uno solo - tattile, mettiamo; tutti i suoni a uno: quello dei telefonini, dei tablet o dei games; tutta la musica a un gigantesco cross over con bravi tecnici e nessun musicista di carisma… Credimi, alla lunga gli umani il loro senso se lo vanno a cercare da soli, così come i loro sensi.
I veri successi, in tutti gli ambiti, alla fine, saranno piccole cose di nicchia, quelle che ti rallentano e ti cambiano. Piccoli film con grandi idee, serial realistici che investono sulla buona scrittura anziché sull'effettistica, club di jazz, del blues, del buon cantautorato, piccoli centri letterari, mercatini del vinile, ricerca dei fumetti usati, degli anni in cui le vignette erano regolari, i vignettisti bravi e umili illustratori, in cui i comics per bambini erano fatti per i bambini e quelli per gli adulti erano altra cosa, senza commistioni assurde in salsa photoshop, iper-cinesi e colorazioni da videogames.
Come se le radici tornassero ad affondare nel terreno in cerca di linfa vitale.
Tu, fin da piccolo mi vuoi rendere un tutt'uno con il tuo mostro unitario, me lo insegni, me lo imponi. Ma io poi inseguo la mia diversità. E me la vado a cercare. Per un periodo me la ricompro. 
Alla fine, arrivo a lottare per averla.

Occhio, sacerdote del delirio, è questo il rischio che corri, da Atene, a Wall Street, a tutti i nuovi luoghi che sogni di colonizzare indenne.

Occhio, il tuo mostro non sarà invisibile per sempre.


;-)

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