Corrente elettrica

Di tanto in tanto è bello immergersi nel cuore dell’Emilia.
Mi hanno invitato a Carpi, per un ciclo di conferenze nelle scuole. Era da un po’ che non viaggiavo in treno e che non incontravo i ragazzi. La seconda esperienza è stata incredibile. Un istituto professionale, primo anno. In cento, di tutti i colori, seduti a terra. Introduce la psicologa del Sert. Mi hanno appena spiegato che vogliono recintare la scuola con la corrente elettrica, perché durante la ricreazione entrano gli spacciatori. Eroina. La fumano, già a quattordici. Li vedo. Sono un gruppetto e stanno ai lati della palestra, defilati. Le femmine, più interessate e partecipi, sono sedute in prima fila. Una indossa lo chador, è bellissima e manifesta un’attenzione lontana. Inizio. Presentazione, professione, quattro cavolate sul lavoro, sul personaggio, sulla criminologia e blabla. Li guardo in faccia. Chi si dedica alle unghie, chi mi fissa in cagnesco. Qualcuno è già a casa col cervello. Panico. Provo a continuare per la mia strada. Ma un camion di diffidenza s’è messo di traverso, inutile frenare, impossibile continuare. Allora sterzo bruscamente ed esco fuoristrada. La mia dolce metà e i prof strabuzzano gli occhi. Anch’io mi stupisco dell’azzardo. Portatemi un blocco di carta. Pennarellone. Okay, ragazzi, adesso scriviamo una storia di droga tutti insieme. Gli occhi tornano a me per un istante, qualcuno accetta la sfida. Forza, sparate un nome. “Giacomo” grida uno. Forza, inventiamoci un luogo, una situazione. I piccoli teddy-boys, ora appoggiati alla spalliera, sparano cavolate, spavaldi. E io scrivo tutto quello che mi suggeriscono. Restano spiazzati. Si va avanti. Un lenzuolo di appunti. Rileggo. Una marea di cose scollegate tra loro. Mi sento come un trapezista che s’è lanciato senza rete, SUDO. Come d’incanto i fili si annodano. Mi volto, chiedo, non sento, scrivo, accompagno. La storia di un ragazzo che di notte, va al parco, per farsi la sua prima dose di eroina. E la sua fidanzata che cerca di fermarlo. Non svelo intreccio e finale, resterà un nostro segreto. Però ricorderò per sempre quel faccia-da-teppa appoggiato alla spalliera. All’inizio mi guardava con disgusto. Quasi tutti i dialoghi sono stati i suoi. Sapeva di cosa parlavamo, ed è stato il migliore.
Campanella. Sembra un gong di fine ripresa. Mi siedo all’angolo, mi portano l’acqua. Pacche sulle spalle, mi riprendo. Giusto in tempo, parte il secondo round. Altri cento. Evvài. Presentazioni, due blabla, pennarello. Chiedo un protagonista. “Un gatto!”, grida il bulletto di turno. Tutti giù a ridere. Io scrivo “Gatto” sul blocco e gli dico bravo. Lui alza le sopracciglia. E poi? “Un ragazzo.”, suggerisce la ragazzina accoccolata tra le gambe dell’amica del cuore. Da lì in poi ci seguiranno. Nome? “Jacopo!” gridano in tanti. Resto basito, non solo per motivi personali. Ma anche statistici. Il cervello collettivo di quei ragazzi, in momenti diversi, con persone diverse ha prodotto due nomi pressoché identici. Mi piacerebbe capire perché. Forse qualcosa che riguarda la cronaca locale? Putroppo anche l’eroina segna un trait-d’union. Dopo un quarto d’ora di crescendo rossiniano, mi accorgo che sul blocco ho scritto: “Droga”-“Gatto”-“Jacopo, 18 anni”-“Graziana, 7 anni”-“Modena”-“Milano”-“Eroina”- “Genitori morti” - “Affidamento”- “Treno”.
Nuovo balzo senza rete, con doppio salto mortale carpiato. Anche stavolta fila liscio. Anzi meglio. Alla fine, steso il lenzuolo di scottante materiale, tiriamo le fila, risolviamo i problemi, calibriamo gli snodi narrativi. Ci documentiamo, aggiriamo ostacoli. Come ciliegina finale chiedo tre dialoghi di raccordo. Faranno da ossatura al componimento. Con l’ultimo dialogo, proposto timidamente da una ragazzina con la t-shirt a righe, si compie il miracolo. La battuta finale ribalterà la tragedia in commedia. Davanti ai loro e ai miei occhi, si è sciolto il sangue di San Gennaro della narrazione. Il demone del racconto vince la realtà, la inghiotte, procedendo virtuoso. Nell’uscire, la ragazzina mi sfila a fianco e dice grazie.
“Grazie a te”, rispondo.

Poi visita al Mac’è, tortellini di zucca con aceto balsamico e viaggio in treno, dove ho conosciuto Nicholas. Studente bolognese, angolano, piccolo fan di Jimy Hendrix. Ma questa è un'altra storia, di cui parlerò solo col suo permesso.

A sabato prossimo, mia bell’Emilia.

Commenti

  1. che bella cosa hai fatto :))

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  2. Grande! Bellissima esperienza immagino. Non mi reputo un matusa, eppure già alla mia età mi accorgo che riuscire a comunicare con ragazzi di quest'età è difficilissimo. In un'epoca in cui ci si sente esistere solo se si è protagonisti, sei riuscito a catturare la loro attenzione ed accendere creatività ed emozioni.

    Bravo.

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  3. Che cosa magnifica..

    già era bella l'idea dell'incontro

    poi quello che sei riuscito a tirar fuori tu da perfetto saltimbanco delle parole..:-)

    I ragazzi sono furia vitale..

    bisogna parcheggiargli nel cuore ..negli interessi per accenderli..

    tu hai quel dono..


    Un bacione bello

    Eli

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  4. Io credo che il gioco stia a mettersi al loro livello, parlare la loro lingua. Senza mischiarsi, tenendo le distanze, ma muovendo l'acqua nel fossato che ci separa. E' anche un gioco di sguardi.


    Mi piace farlo coi bambini, e adoro gli adolescenti. Li trovo esaltanti.

    Due categorie che sembrano non esistere, al di fuori della cronaca nera o del gioco delle merci.


    Forse perchè anche la rete è dominio di entropie borghesi, trentenni, autoreferenziali e incrostate tipo la mia.


    Non è pedagogia, nè arte circense, ragazze. E' marxismo puro! ;)=


    YOUNG REVOLUTION!

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  5. Come direbbe il Ligabue di Neri Marcoré: "Mi si dia della gran carta!" e il miracolo è fatto.

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  6. Lò, ce ne vorrebbero di entropie borghesi, trentenni, autoreferenziali e incrostate tipo la tua.

    Oh se ce ne vorrebbero!

    Young revolution! Il Festival di Sanremo mi ha fatto ben sperare anche per questo. Tiè.

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  7. Radiofax, peccato che proprio a San Remo il buon Marcorè non abbia dato il meglio di sè. Cha fa anche rima…


    Rugiadì, sì. Anche se l'età media degli organizzatori e direttori artistici era intorno ai settanta!

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  8. Vabbè ma il bello di ogni "luogo"..di chiacchiera e arte..e musica..deve venir fuori dalla amalgama dei settantenni con i più giovani..

    e come dici tu bisogna mettersi al loro livello..sia di quelli più piccini che dei più maturi..


    Sarà che sto già ben oltre quel mezzo del cammin di nostra vita.. :-)

    a modo mio quella comunicazione adattata però l'ho sempre usata..

    e mi piace così..


    Neri Marcorè è da urlo..dalla Dandini ne regala uno dietro l'altro..a me fa morire Gasbarri ..

    però le canzoncine del Liga..

    quella "Una vita da Prodiano"..:-)


    bacetti

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