Coda


"Buffalo Bill de la Pampa", ti prendevo in giro. Mi sei tornato in mente. Quando t'ho conosciuto avevi una chioma a mezza schiena raccolta a coda e due denti in bocca, al centro, uno sopra e uno sotto. Quello sopra l'hai lasciato nella prima fetta di salame piacentino che ti ho offerto. Immergevi la nostalgia di casa in quella musica ibrida fra il tango e i cantici, in quei vostri romanzi cavallereschi. Abbiamo parlato per ore ed ore, di notte, ognuno nella sua lingua, io ragazzo di bottega, tu vecchia volpe del mestiere, trovandoci poi a metà strada in uno slang comprensibile a noi soli, in un'età indistinta. "Zurdo", mi chiamavi. Tomavi mate, disordinato, un orso buono un po' sciatto. Grande chinatore, spiegazzavi le tavole, le sporcavi. Sei arrivato con una valigetta minuscola e due spiccioli in tasca. Intorno a noi, i vicoli di Genova, con le prostitute, i tossici di Pescetto. Mesi e mesi. Tu ed Enio a sghignazzare perché rincasavo con il cacciavite in mano, di notte. Ti feci conoscere Totò, lo trovasti il migliore attore comico del mondo, ridevi col dente solo. La gavetta è un percorso umano, non ci sono scorciatoie. La mia è passata anche dal dolore silente di averti perso in quel modo assurdo, Alberto Macagno, amico peronista. Compensato dalla pienezza del convissuto.
È passato tanto tempo, il mestiere non era chiacchiericcio. Era ancora esperienza.

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